In questi giorni si è fatto un gran parlare a proposito dei viaggi d’istruzione, al fatto se siano obbligatori oppure meno; o se, semplicemente, valga la pena, per degli insegnanti già sottopagati, di spendere tempo ed energie nella loro organizzazione.
Certo perché, a dirla tutta, per i docenti le gite sono
soltanto una scocciatura:
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ore lavorative a titolo gratuito, oltre il normale
orario scolastico della giornata, senza possibilità di poterle recuperare
durante l’anno scolastico;
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il tempo impiegato nell’organizzazione del viaggio, dal
chiamare la compagnia dei trasporti del caso, all’assicurarsi che il viaggio
sia adatto anche agli alunni portatori di handicap – parte non affatto semplice
come potrebbe sembrare- ;
-
la compilazione e il controllo accurato delle
autorizzazioni dei genitori per il viaggio;
-
la tremenda raccolta dei soldi, per i quali, in caso di
malaugurato furto, non si ha nessun tipo di risarcimento; tradotto:
l’insegnante ci rimette i soldi di tasca propria.
-
Dulcis in fundo… la responsabilità.
Non parliamo di una piccola responsabilità, né di una grande
responsabilità. Io parlo di una responsabilità IMMENSA!
Controllare bambini o ragazzini del caso in un ambiente
esterno alla scuola, dove cadute, macchine, allergie, punture di insetti,
malattie, malori e dispersi sono sempre in agguato. Il tutto sotto la povera
responsabilità di un docente che si fa carico di tutto questo stress
psicologico senza una retribuzione in cambio.
Ma allora, diciamocelo: ne vale veramente la pena?
Ovviamente verrebbe da dire di no. Chi me lo fa fare di
spendere così tanto tempo in qualcosa di tanto pericoloso e senza remunerazione
alcuna?
Me stessa; e ho solo un semplice motivo che mi porta a farlo:
i miei ricordi.
Io, prima ancora di essere maestra, ero una ragazza; e,
prima ancora, una bambina.
Così, se ripenso agli anni di scuola passati, non ricordo il
giorno in cui ho letto la mia prima sillaba, o quando ho svolto il primo
problema di matematica; non ricordo se stavo in fila ordinata, o quando la
maestra mi riprendeva per il troppo chiacchierare.
Però, ricordo alla perfezione le recite di Natale e di fine
anno, le canzoni cantate a memoria con le compagne e i film guardati il
pomeriggio con la supplente; ma, sopra ogni altra cosa, nei miei ricordi
ritrovo le gite.
Non so quale fosse il nome del museo visitato per qualche
motivo che, di certo, non mi interessava a dieci anni; eppure ricordo come
fosse ora l’ansia del mattino prima di partire, e l’aria di libertà che si
respirava sul pullman immerso nella penombra dell’alba. Ricordo i maestri e i
professori, anche loro liberi dalle catene della rigidità scolastica, che
ridevano tra loro e con noi ragazzi, e fumavano di nascosto prima di entrare
nel castello o alla mostra.
Tutti noi ricordiamo il compagno e la compagna che, dopo
infinite e attente progettazioni, riuscimmo a far sedere accanto a noi per
tutto il lungo viaggio, con nostra immensa soddisfazione.
Ecco; questo è il motivo per il quale dico Sì alle gite. Non
per me, per la fatica che sopporto e per i rosari sgranati nella speranza che
non succeda nulla. Io dico Sì alle gite per loro, per i nostri pulcini e per i
ricordi che i nostri sforzi lasceranno loro.
Nonostante tutto.
Teacher Maia